Engramma - Quadro sinottico - Creodo


Carlo Rea arriva alla pittura contemporaneamente alla musica. Pittore e musicista, ha sempre avuto a cuore questa sottilissima organizzazione della creazione che è la disciplina artistica; processo, beninteso, che ha a che fare con l'iniziazione anarchica dove ogni iniziato procede in un suo nuovo periodo, senza riferimenti profani. Fondamentale per questo percorso è la visione essenzialmente emozionale, che si rimette ad un suo paesaggio visivo, un engramma, ossia la capacità di sperimentare un' appercezione sensitiva dell'oggetto contemplato che sia completamente soggettiva, che risponda cioè ad una costruzione psicologica interna.
Nulla di creativo vi è nell'engramma, soltanto vi si spiega la capacità interiore dell'artista di vedere la natura fisica delle cose, é ciò che Martin Heidegger ha definito il "portare innanzi l'opera d'arte", portarla nel proprio mondo.
Quando scrutiamo (è il verbo esatto) un quadro di Rea abbiamo subito la sensazione visiva, pittorica, di essere portati, ma anche di andare e venire, da un universo esterno ad un altro interno che gli è simpatetico e specularmente fisico. Poi, quando penetriamo nel campo del paesaggio, l'opera ci pone in tutta evidenza l'antico e mai superato problema tra colui che vede e l'oggetto, "ciò che è gettato innanzi al mondo" il quale è fatto, partecipa, nell'arte, della sua propria fisica e dell'emozione del creatore. Risulta allora un quadro sinottico: l'occhio interiore e l'occhio esteriore procedono ad un accordo di universi distanti ed enigmatici scatenando la drammaticità estetica che dà movimento al pennello e colore alla forma, forma che resta indecifrabile.
nell'antitesi camnpo-fondo esterno e colorazione emotiva interna delle opere di Rea si ritrova la tessitura letteraria dell'epopea antica. Come Odisseo siamo gettati nel mondo, invisi agli dei, ma allo stesso tempo siamo uomini e creatori e, nella maniera di Rea di esserlo, i quadri divengono delle risposte, risposte che non sono ne leggibili ne solubili, Inoltre, a differenza dello spazio iconologico rinascimentale dove il rappresentato è l'eroe logico dell'opera, nei quadri di Rea diviene eroe il soggetto vedente stesso, il veggente Tiresia della rapsodia undecima dell'Odissea, colui che conosce le cose che furono, quelle che sono e quelle che saranno, come chi contempla l'opera rivive la Imago e ne divina il destino, proprio in questo avanzare dentro il quadro. E il procedere di scruta un quadro di Rea è anche un abissamento della coscienza nel ricordo evocatorio, simile a quello di Odisseo nel paese dei Feaci, i Grigi scivolanti sul mare su nere navi di sogno senza remi e timone e che pure riconducono l'eroe alla patria nel giorno dell'algido approdo: così in un opera di Rea fluttiamo tra esordi e ritorni da noi stessi vedenti verso noi stessi veggenti, sospinti tra memorie di sabbia, quintessenza di forme oniriche e coralli cristallini di appercezioni visionarie, Il tutto non senza dolore o nostalgica gioia. In questa catastrofe di mondi, da questa esperienza drammatica di rappresentarsi l'oggetto nasce il creodo, un percorso creativo allo stesso tempo materiale e simbolico. L'esperienza del percorrimento appartiene in ciò sia al creatore che a colui che guarda la creazione, ed essa rimane essenzialmente primordiale, pre-logica; è per ciò che non è possibile formulare metafore o affabulare su una tela di Rea, essa ci è gettata innanzi agli occhi fisicamente, senza possibilità di lettura, interiormente enigmatica come le sentenze di Sibilla che si disperdono nel vento.

Domenico Cioffarelli

1997